Fatto preoccupandosi: incontro con la traduttrice

English version qui.


Quindi l’ho fatto. L’ho fatto preoccupandomi, ma l’ho fatto.

letsdoitwithworry
Arthur Christmas (2011)

Dopo circa tre mesi di scambi di e-mail, tre giorni fa ho finalmente incontrato la traduttrice che ha accettato di tradurre il mio libro. Ho messo su il mio miglior finto sorrisone, falsa aria di sicurezza e sono andato, anche se mi stavo cagando in mano dall’agitazione. Lei è stata davvero gentile, mi ha perfino salutato calorosamente, mentre io, che ero pronto ad essere formale e professionale, ho finito con l’essere impacciato come al solito cercando – e fallendo – di coordinare stretta di mano, presentazione e tutto il resto. Tutto normale, insomma. Dopodiché ho reinstallato subito la mia faccia da poker e abbiamo proceduto a fare quattro chiacchiere e a discutere del libro e del contratto.

Direi che nel complesso è andata bene. La traduttrice è estremamente caritatevole, in quanto pagherò quello che ammonta a tre/quattro mesi del mio stipendio quando normalmente il prezzo per una traduzione di un libro di quella lunghezza, pagato da una casa editrice, ammonterebbe a quasi quattro volte quello che pagherò io. Avete letto bene. Quindi vale a dire un anno del mio stipendio. Le ho promesso che, nel caso io venga pubblicato e guadagni un po’ di soldi, provvederò a pagarle il prezzo pieno. Mi sembra il minimo, considerato che si è proposta di mettere una buona parola per me alla casa editrice in cui lavora, sia come traduttrice che come scrittrice. In effetti, mi chiedo perché mai una come lei, scrittrice e traduttrice affermata che si occupa pure di teatro, stia facendo questo per qualcuno che a malapena conosce, e per giunta un principiante.

Non riesco a levarmi dalla testa l’idea che sia tutta una truffa di qualche tipo, un bello scherzone per me povero pirla che pensavo anche che avrei potuto essere pubblicato. Quando è arrivato il momento di stabilire le modalità di pagamento, le ho detto che sarei stato contento di pagarle metà del prezzo all’inizio e l’altra metà al momento della consegna. Ho avuto l’impressione che lei sarebbe stata più felice di ricevere il pagamento prima, e mi sono sentito anche un po’ uno stronzo visto che la pago così poco, ma sento il bisogno di tutelarmi almeno un po’. Nonostante lei mi si sia stata consigliata da una delle più grosse case editrici del paese, nonostante mi sembri una persona affidabile, non ho alcuna garanzia che il lavoro mi verrà mai riconsegnato. E qualcuno che ti vuole fregare certo non te lo viene a dire, ma farà di tutto per apparire attendibile. Sto brancolando nel buio per quel che riguarda questo libro, in effetti a volte ho l’impressione di stare brancolando nel buio in generale; mi sembra un minimo quantomeno dotarmi di paracadute, giusto in caso io caschi diretto giù da un burrone.

wilecoyote

Sono anche stato attraversato da un brividino gelido quando mi sono reso conto che la traduttrice ha dato solamente un’occhiata superficiale al libro. Non che mi aspettassi che lo avesse letto per intero con tanto di recensione, ovviamente, ma quando l’ho contattata la prima volta le ho anche inviato una copia del romanzo, così che potesse farsene un’idea e decidere se aveva voglia di tradurlo oppure no. Lei ha espresso apprezzamento, e così è iniziato il nostro scambio di mail. Quindi mi ero fatto l’idea che avesse letto qua e là. Ma lì in quel locale, mentre sorseggiavo il mio tè cercando di non sembrare terrorizzato, ho realizzato dalle sue parole che non ha idea di dove la trama vada a parare e che probabilmente ha dato un’occhiata giusto ai primi due o tre capitoli. Non volendo suonare sgarbato o supponente, non le ho chiesto cosa avesse letto e cosa no, mi sono guardato bene dal scendere nei dettagli del libro, e ho mantenuto il mio smagliante sorrisone mentre pensavo Oh merda, le parti peggiori non le ha lette. E non sono nemmeno poche. Quindi ecco, quello che sto cercando di dire è che non mi sorprenderei se da qui a due mesi ricevessi una sua mail in cui mi manda a fare in culo e mi dice che quella roba è illeggibile e non ha intenzione di tradurre tali oscenità.

Oh beh. In ogni caso, se tutto va bene la traduzione dovrebbe essere pronta in estate.

Naturalmente, continuo a chiedermi se questa non sia una delle idee più stupide che io abbia mai avuto. Pagare quello che ammonta a più di tre mesi del mio stipendio per tradurre un libro in modo da provare a pubblicarlo in una lingua che non è quella originale. Quando potrei provare a pubblicarlo in Italia. Suona stupido. Sono grato per avere dei risparmi che mi permettono di vivere sapendo che in caso di emergenza sarei coperto per un po’ di tempo. Proprio per questo non li voglio buttare al vento. Non ebbi fortuna quando mandai il romanzo a svariate case editrici italiane, ma quella era una precedente versione che francamente faceva schifo. Inoltre, a quanto ho letto in Italia per farsi pubblicare è meglio affidarsi ad un agente letterario. Pagare un agente letterario in Italia per valutazione, revisione e rappresentazione mi costerebbe molto meno che pagare qui per la traduzione. Ma, sempre a quanto ho letto, pubblicare in questo momento in Italia è un disastro, terribilmente difficile, e si rischia di finire invischiati nella burocrazia e in relazioni disoneste. Qualche tempo fa lessi perfino un articolo, su un giornale serio, scritto da un autore apparentemente serio, in cui fondamentalmente agli autori italiani veniva sconsigliato di provare a pubblicare attraverso le case editrici e veniva suggerito tentare invece la strada dell’auto-pubblicazione (andiamo bene). Inoltre, niente mi garantirebbe che l’agente letterario di mia scelta sarebbe onesto e professionale (… e niente mi garantisce che la traduttrice qui lo sarà a sua volta). Preoccupazioni riguardanti possibilità e trasparenza a parte, c’è anche il fatto che io non vivo più in Italia da più di tre anni ormai. Iniziare a lavorare con agenti letterari e/o case editrici in Italia mentre la mia vita si svolge totalmente in un altro Stato non mi sembra molto pratico. Non sarebbe impossibile, naturalmente, visto che al giorno d’oggi siamo dotati fortunatamente di Skype e e-mail, ma l’idea di poter parlare a un editore o chi per lui faccia a faccia, semplicemente prendendo un bus o un treno, suona molto più allettante.

E in tutta onestà, la ragione principale è un’altra: il pensiero di legarmi di nuovo all’Italia, e magari dover anche tornarci per lavorare a una (molto improbabile) pubblicazione, mi fa venire male. Sono andato via, via, VIA, per trovare un posto in cui mi sentissi più a mio agio, in cui le possibilità mi sembrassero più numerose e migliori. E l’ho trovato. Qui, almeno per quel che posso vedere, le cose vanno meglio. Io mi sento meglio. Non è tutto rose e fiori, naturalmente – non lo è da nessuna parte – ma è meglio. Non voglio nemmeno pensare ad essere legato all’Italia per motivi di lavoro. Inoltre, la traduttrice potrebbe essere per me il primo di una serie di contatti nel mondo dell’editoria. Le competenze sociali non sono il mio punto forte, gente. Proprio no. Non sono mai stato bravo a crearmi una rete di conoscenze, detesto dover cercare di usare le poche che ho; io preferisco badare al mio lavoro punto e basta. Sono stato fortunato a conoscere questa traduttrice, che avrebbe potuto benissimo decidere di non rispondermi – certo non le serve uno come me – e che non solo ha accettato gentilmente di lavorare con me ma si è anche offerta volontaria di parlare bene di me alla casa editrice. Per quanto suoni idiota spendere tutti quei soldi per un progetto che molto probabilmente non porterà a nulla, forse sarebbe altrettanto idiota lasciarsi scappare questa occasione.

Come potete vedere, c’è molta preoccupazione nell’aria.

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Arthur Christmas (2011)

Ma devo cominciare da qualche parte e credo… sento… spero… prego che questa sia la direzione giusta. In momenti come questi mi ricordo delle parole di una mia cara amica. Più che le parole precise mi ricordo il senso di quello che mi disse, proprio mentre stavo emigrando. Per me era un momento di grande incertezza, non sapevo se stavo facendo una scelta intelligente o se stavo solo sprecando il mio tempo e molto denaro. Non sapevo se sarei riuscito a trovare lavoro, non sapevo se le cose sarebbero andate bene, mentre ero certo che per un periodo di tempo avrei dovuto utilizzare i miei risparmi. Lei citò Stardust, il film, che piace molto a tutti e due. Mi disse qualcosa tipo: «Ti ricordi in Stardust quando Tristan organizza il picnic per Victoria? E lei gli dice “Ma Tristan, questi devono essere tutti i tuoi risparmi”. E lui le risponde “Beh, vorrà dire che ne risparmierò altri”.»

Ogni tanto bisogna buttarsi. Anche se brancolo nel buio, e non so se al prossimo salto salirò la scala di un gradino o volerò di sotto a spiaccicare il mio faccione sul pavimento. O magari potrei anche cascare su una rampa giusto un paio di metri più sotto. La faccio sempre tragica. Per farla breve, mi sa tanto che anche questa volta mi tocca buttarmi. E lo farò. Voglio dire, lo sto facendo. Preoccupandomi.

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P.S. Se volete leggere il passo precedente di questa saga, lo potete trovare qui.

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